YoY è una compagnia fondata nel 2021 da Emma Zani e Roberto Doveri, danzatori e coreografi, e Timoteo Carbone, musicista e compositore. Il loro è un progetto che attraversa danza, musica e arti visive, alla ricerca di contaminazioni e nuove forme espressive. Il collettivo è stato selezionato e riconosciuto da numerose realtà nazionali e internazionali tra cui Anghiari Dance Hub 22, Vetrina della giovane danza d’autore eXtra 2023 e, ancora nel 2023, ha vinto il premio Prospettiva Danza Teatro ed è stato chiamato per coreografare l’opera Song of the Dark Forest per Scapino Ballet (Rotterdam).
Come ci ha raccontato Emma Zani, questa a Scenario Pubblico è stata la seconda tappa di residenza dopo quella svolta al circuito CLAPS di Brescia per il nuovo progetto. Grazie al periodo qui a Catania la creazione ha raggiunto quindici minuti, ovvero più della metà della durata prevista per la pièce. Abbiamo incontrato Emma, Roberto e Timoteo e chiesto loro di raccontarci di più sul loro progetto che porta nel titolo stesso un paradosso: Ti ricordi il futuro?
Qual è il punto di partenza di questo vostro lavoro?
Emma: Siamo partiti da un immaginario scaturito dalla mostra di Valerio Berruti, un artista visivo che ci affascina molto per le sue opere e per il suo credo artistico. Ci riferiamo in particolare a una sua esposizione fatta nel 2011 a Belgrado intitolata C’è troppa luce per non credere nella luce. I soggetti principali erano bambini, spesso protagonisti delle sue opere, e da lì abbiamo tratto almeno due elementi. Primo, la figura del bambino inteso come entità pluristratificata di potenziali ed emozioni, proprio quelle che poi man mano crescendo si affievoliscono diventando prima alternanza di paura e speranza, poi sempre meno frequenti. In più, per quanto riguarda l’aspetto coreografico, io e Roberto ci siamo rifatti molto alle posizioni, ai gesti che dei soggetti nei dipinti e nelle sculture, alle posizioni dei piedi, ai giochi delle mani ritratte. Ciò che abbiamo tratto è una particolare modalità di porsi e noi lo abbiamo fatto nei confronti del futuro.
A partire da questo concept molto profondo, concettuale, avete una direzione specifica nello sviluppo del lavoro? Sapete già dove volete atterrare?
Emma: Ti ricordi il futuro? è la prima narrazione, il primo capitolo, di un progetto che vorrebbe essere più ampio. Pensiamo a una costruzione modulare che consisterebbe poi in uno spettacolo a serata intera.
L’obiettivo è quello di trattare il tema del futuro e di svilupparlo attraverso un coro di voci. Vogliamo inglobare anche persone al di fuori del nostro gruppo, quindi, aprire il progetto a collaborazioni di vario tipo dove la domanda è sempre quella. L’input è: come pensi il futuro? Quale potrebbe essere la tua interpretazione (libera) di un possibile futuro? Quindi diciamo che questo primo progetto è proprio la domanda che poi probabilmente si aprirà e si rivolgerà anche ad altre persone.
Roberto: Questo assetto è collegato alla nostra idea di ricerca, di collaborare, cioè, sempre più con persone, con più modi di pensare le cose. Il concept quindi, questa base con la domanda, è molto legato a quello che noi siamo. Quello che trovo interessante per quel che riguarda il movimento è che noi cerchiamo di trovare una specie di codice. Un codice che noi prendiamo come base e cerchiamo poi di sviluppare in diverse qualità per trovare uno sviluppo che va sempre un po’ a dilatare la nostra voglia di ricercare cose nuove. Partiamo da parole, immagini o altro che poi sviluppiamo a modo nostro. Per questo progetto, avendo la possibilità di avere Timoteo in scena, abbiamo cercato di condividere sin dalla prima parte uno stato particolare dello stare in scena. Non c’è un tempo codificato quindi ovviamente tutto può variare, non ci sono riferimenti nella soundscape quindi il tempo oscilla, è sempre molto emotivo. Credo sia molto interessante saperlo perché magari la visione sembra stabile invece ogni volta è un gioco di presenza.
Come si è sviluppato il progetto dal punto di vista musicale?
Timoteo: La cosa importante è la partenza da quell’immaginario, che è questo gruppo di anime infantili che devono probabilmente ancora nascere. Sono inginocchiati in cerchio come dentro una bolla sospesa.
Questo è un progetto che parla del tempo quindi anche della ambiguità e della relatività ad esso legate. Nel primo modulo c’è l’interrogarsi di questo futuro, questa è l’ambiguità che deve uscire fuori. Un’ambiguità paradossale che fa parte della domanda che già, in maniera anche diretta, comincia a porre delle domande a chi la legge, sulla natura del passato e su come si relaziona al futuro. L’ immaginario è questa sorta di limbo molto interessante. Per quanto riguarda la musica, ho utilizzato dei layer che non hanno una narrazione, sono dei soundscapes, registrazioni che non hanno inizio o fine e potrebbero durare per l’eternità. In questo mare di non narrazione inseriamo tracce di narrazione che appaiono e scompaiono e questa sorta di tecnica compositiva sia nella danza che nella musica è stata interessante da interrogare. La musica e la danza sono osmotiche. All’inizio c’è questa sorta di soundscape che è la registrazione fatta in un parco della Lituana dove si sentono voci di bambini che giocano. Ho un po’ modificato la traccia, l’ho vagamente stretchata a livello di tempo, le voci è come se fossero sospese in questa sorta di limbo. Partono così queste storie, queste tracce che però, secondo me, sono importanti per la loro natura. Parlano di una sorta di forza, una forza che è di essenza. Questo potenziale non è forza applicata contro qualcuno o qualcosa, è una forza perché è, non perché fa. Allora, come ci si relaziona con questa forza specialmente quando si invecchia? Ti ricordi il futuro? Questo è l’elemento, la domanda che si vuole porre all’inizio di questa serie. Come ci si relaziona con questa forza? La vogliamo applicare contro l’ambiente, contro le altre persone, noi stessi o vogliamo semplicemente farla crescere in quanto tale?
Quali sono le vostre sensazioni all’interno della creazione?
Timoteo: Nel pezzo ci sono dei vuoti dove bisogna crearsi un tempo interno. All’inizio del pezzo, infatti, stiamo quattro minuti in un tempo “vuoto” e bisogna costruire un ulteriore tempo interno, molto sentito perché poi parte la traccia e bisogna essere ancora lì. Comunque ci siamo un po’ complicati la vita perché ho registrato altri suoni, altri strumenti e quindi suono live con quelli e poi a metà del pezzo scompaiono e ci sono altri cinque minuti di vuoto e bisogna ritornare proprio lì dentro quella cosa di nuovo.
Emma: Effettivamente in quel momento lì succede, c’è questo incontro tra ciò che è passato – noi sappiamo che lui ha registrato – e un tempo molto presente che però in qualche modo entrano l’uno nell’altro e definiscono in qualche modo l’andamento della performance. Anche se ci sono un inizio e una fine effettivi, all’interno c’è questo incontro tra il presente e ciò che è stato il passato di questa costruzione. In quei momenti non codificati di cui ha parlato Timoteo, viene a crearsi una linea sottile che porta a chiedersi: è la musica che segue la danza o la danza che segue la musica? Ci sono dei momenti in cui veramente, può darsi che nessuno segua nessuno o che tutti si stiano seguendo quindi c’è questo incastro. Poi ovviamente inizia la parte registrata che per noi è un segno, un appuntamento stabilito, però penso sia molto interessante questo tipo di costruzione.
La ricerca di nuove interpretazioni sul tema del futuro, verso la costruzione di una sorta di mostra collettiva, un coro di voci che esprimono liberamente la propria visione attraverso diversi linguaggi è l’essenza di Ti ricordi il futuro? che proseguirà la sua maturazione presso il Circuito AMAT a Civitanova Marche e alla Derida Dance Company di Sofia.
Ringraziamo gli artisti per il loro prezioso racconto e aspettiamo di rivederli presto.