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‘Il piacere di sentirsi terroni’ anticipazioni dall’omonimo testo in uscita nel 2014

‘Il piacere di sentirsi terroni’ anticipazioni dall’omonimo testo in uscita nel 2014

Non posso negare che la mia città, Catania, diversi anni fa, una quindicina per l’esattezza, ha trascorso un periodo indimenticabile, dove il clima positivo si toccava con mano. Si aveva certamente l’impressione di una comunità, dove tutti o quasi tutti lavoravano per essere al servizio dell’uomo urbano, e dove il cittadino per l’appunto, aveva preso grande confidenza con il senso civico.
Da un po’ di tempo tutto questo non mi sembra esistere più, tutta la Sicilia, non solo Catania sembra non abbia nessuna visione o forse non vuole averla, sento nella gente un misto di rabbia e rassegnazione; ho difficoltà però ad accettare ciò che si dice nel Gattopardo. (I siciliani non hanno voglia di migliorare perché si sentono perfetti.)
E per questa ragione che diversi anni fa ho intrapreso un dialogo più intimo, profondo e sincero con la mia terra. Ho incominciato a parlarle con durezza ma anche con rispetto e tenerezza e l’ho fatto, ovviamente attraverso il linguaggio del corpo.
Ho usato, e continuo a farlo, un contenitore che si chiama re-mapping Sicily. Mi serve, per frullare la memoria storica di questa meravigliosa isola sempre più obliata, e provare a farne, forse un po’ utopisticamente, ma convintamente, un “nuovo mondo”, pieno di sentimenti nobili, atteggiamenti civili, storie normali.
È necessario incominciare a dimostrare attenzioni diverse, a voler ascoltare, leggere, vedere altre notizie, altri fatti, altre persone.
Mi sento di “appartenere”, perché come dice Gaber “l’appartenenza è avere gli altri dentro di se”; sento di avere dentro di me tutta la storia della mia terra, quella edulcorata e quella livida, le cose belle ma anche quelle negative, i comportamenti accettabili e quelli inammissibili.
Appartenere, come segno distintivo dell’essere. Partecipare, contaminare, influenzare, attraverso i propri comportamenti, altri della tua stessa specie.
Molto spesso “nei miei lavori“ mi sono ritrovato a mostrare attraverso i corpi, una terra, una certa terra, che vorremmo non esistesse più.
Anche a Catania andrebbe riscoperta una passione civica perduta ed anche il sentimento della partecipazione, e quindi il senso di appartenenza.
Che cosa potrebbe essere utile al nostro territorio?
Un territorio che è sempre stato un enorme raccoglitore di culture, un contenitore di numerose civiltà.
Oggi, io lo immagino come un enorme container di creatività, dove artisti provenienti dai luoghi più lontani possano esserne residenti, artisti delle più svariate discipline, che con il loro linguaggio possono, insieme agli artisti e agli intellettuali del luogo, rivitalizzare e in alcuni casi “viralizzare” questo straordinario popolo per farlo riappropriare di quelle che sono le migliori caratteristiche che lo hanno contrassegnato nella storia; l’inventiva, la caparbia, il dinamismo, contribuendo in questo modo a una possibile rinascita.
Se il nostro territorio è malato, non è colpa del destino ma della nostra stessa gente, di noi stessi; è qui che bisogna agire e migliorare il livello, la qualità.
Un faro da seguire dovrebbe essere la frase di Kennedy scritta sulla sua lapide: “Non chiedetevi quello che l’America può fare per voi, ma chiedetevi quello che voi potete fare per l’America.”
Sentirsi cittadino non basta, è necessario osservare e fare rispettare la legalità, l’habitat, tenere anche sotto “osservazione” gli amministratori, facendo spesso il proprio dovere, in modo migliore e prima di loro.
Per noi artisti confrontarsi con il territorio vuol dire anche essere duri, violenti nel dare giudizi, criticare, distruggere per ricostruire, ma tenere sempre la freccia puntata sull’edificazione della bellezza, unico antidoto che possa riuscire a mettere in ombra la cultura della sopraffazione, della trascuratezza, della sciatteria, del disordine.
A un certo momento della mia vita ho sentito la necessità di ritornare nella mia terra per la forte attrazione che proveniva da essa: dall’Etna, mia biologica fucina di turbolenze emotive e creative (ci vivo proprio alle pendici), da dove mi è facile ascoltarlo, cosi come farmi influenzare dai suoi sempre misteriosi sussulti e “dialoghi”.
Mi sento (forse è troppo) figlio di madre Etna, che poi sarebbe un padre giacché è un vulcano, ma che noi tutti chiamiamo “a muntagna”. Mi sento anche un po’ vicino a Efesto, “fabbro”, manipolatore del fuoco e scultore di emozioni, che madre Etna difende dalle dispute con Demetra, della Terra custode e promotrice. Sento, infatti, forte, nella parte più poetica e meno materiale della mia vita, la loro presenza, il loro protagonismo, che contribuisce, e non poco, alla crescita del mio senso di appartenenza.
Sono convinto che la contaminazione tra il proprio patrimonio culturale e i progetti politici sia un fondamentale passaggio della vita e della crescita di una “tribù”, e sentirsi coinvolti, è senza dubbio qualcosa che devi avere dentro, identificarti fortemente con una passione utopistica, incalzante, che evidentemente non tutti possiedono.
Credo che un luogo debba sempre più recuperare il rapporto col proprio patrimonio; e una delle ricchezze più importanti da riconquistare è proprio l’uomo, il suo corpo, le sue idee, che sono e saranno sempre un’infinita e inesauribile risorsa.

Roberto Zappalà