ANARCHIVIO – prima giornata
Che importanza ha il repertorio del passato e che relazione ha con il presente?
Molteplici sono stati gli argomenti cardine del convegno intitolato ANARCHIVIO curato da Roberto Zappalà e Stefano Tomassini, svolto l’11 e il 12 maggio a Scenario Pubblico. A intervenire durante il primo giorno sono stati i coreografi: Enzo Cosimi, Emio Greco, Salvo Lombardo, Michele Merola e Cristina Kristal Rizzo.
I dialoghi affrontati si sono concentrati sulla definizione di repertorio contemporaneo e del suo “recupero”, dunque, sulla riprogrammazione nel presente. Uno dei macro-temi trattati, introdotti da Stefano Tomassini, ha riguardato l’iperproduttività spesso indotta agli artisti dal sistema economico italiano dello spettacolo.
Partendo da due brevi video di un’opera di repertorio della Alvin Ailey American dance Theater, – il primo un estratto di Revelations (1960) il secondo un reenactment del 2020 creato dalla compagnia durante il periodo pandemico – si è parlato del passato come qualcosa di mobile che ritorna nel presente. Di come ritorni in modo nuovo con corpi diversi rispetto a quelli del passato. Di come influisca la rivisitazione del repertorio, non solo sul piano tecnico ma anche sensoriale.
Possiamo immaginare altre possibilità nel riprogrammare il repertorio?
I coreografi rispondono a questa domanda con la frase:
«Repertorio e ricerca si abbracciano»
spiegando che il passato, quando riabilitato, viene visto con occhi diverso rispetto a un’epoca precedente e può implicare domande che all’epoca non venivano poste.
Oltre ai temi trattati, si è parlato di coreografia, delle differenze tra danzatore, coreografo e performer. Si è affermato che quella coreografica non è una dimensione distaccata dalla realtà ma che interviene su di essa.
«L’idea non è quella di tentare di rappresentarlo (scil. il passato] semplicemente abbozzandone contorni. Più nel dettaglio, è importante fare appello al passato, animarlo, comprendendo che ha una natura performativa, cioè che anziché rimanere immobile e fisso, il passato fa cose».
José Esteban Muñoz CRUISING UTOPIA (2009)
In questa citazione letta da Stefano Tomassini, si racchiude ciò che è stato detto nel convegno, ovvero mantenere e puntare sul repertorio e sul come ripresentarlo.
(di Emily Busalacchi)
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RACCONTI LATERALI – appunti visivi
Gisellə (studio) | Cornelia
La penultima giornata del FIC Festival ha visto in scena, all’interno degli spazi di Scenario Pubblico, la prova aperta di una nuova produzione della compagnia Cornelia con coreografia di Nyko Piscopo. Tre danzatori, Nicolas Grimaldi Capitello, Eleonora Greco e Leopoldo Guadagno, interpretano l’esaltazione della sfumatura più pura dell’amore eterno che supera il genere, il pregiudizio e l’inganno. Gisellə (studio), infatti, è una rivisitazione sia coreografica che musicale (ad opera di Luca Canciello) di Giselle, balletto romantico del 1841. Il concept del lavoro consiste nell’espressione della divisione della società esistente su un tema così importante quale è l’identità di genere: «il mio intento è quello di mostrare una visione bigotta dell’argomento in contrapposizione ad una cultura nuova e mentalmente aperta». Così il coreografo spiega la drammaturgia della pièce, sottolineandone la collocazione tra il passato e ciò che immaginiamo e speriamo possa essere il futuro.
La prova aperta ha visto in scena solo tre degli otto danzatori che debutteranno in anteprima a settembre presso Scenario Pubblico. Essi, interpretando il ruolo del sesso opposto rispetto a quello proprio, usano lo sguardo in maniera particolare; i danzatori tentano di nascondersi dagli sguardi altrui e, quando occasionalmente si incontrano, questi si fondono in una grande complicità. Viene messa in scena la cura di chi, lasciandosi e ritrovandosi continuamente, tenta di esaltare un amore puro e incurante di condizionamenti esterni.
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BOX VISIONI – allenamenti dello sguardo critico
Agamennone (criminal case) | Compagnia Petranuradanza
Lo spettatore si ritrova impotente sin dai primi minuti dello spettacolo andato in scena sabato 11 maggio sul palco di Scenario Pubblico.
La voce di una donna straziata dal dolore racconta che per molto tempo è dovuta sottostare alle violenze del compagno, fino a quando, al culmine dell’ennesimo sopruso, incapace di chiedere aiuto, impulsivamente ha deciso di colpirlo a morte.
Agamennone – criminal case della Compagnia Petranura Danza mostra come un pezzo di repertorio e addirittura un mito come quello di Agamennone possano adattarsi ad ogni tempo ed essere di estrema attualità, avvalorando quella che è la tematica e visone alla base di tutto il Catania Contemporanea FIC Festival.
Il coreografo e interprete Salvatore Romania insieme a Laura Odierna e ai danzatori Giulia Gilera, Konstyantyn Hryhor’yev e Valentina Zappa riescono a portarci nella quotidianità di una famiglia schiava di un uomo violento e autoritario.
Tutti si muovono nello spazio seguendo un percorso prestabilito, un copione che sembra ripetersi da tempo e di esso se ne sente tutto il peso. Sul pavimento è tracciato lo stesso percorso, attorno ad esso sono disegnati dei particolari rossi: petali di rose oppure gocce di sangue. I personaggi sono come marionette animate dal volere dello stesso Agamennone interpretato da Salvatore Romania. Con movimenti placidi ed estetici eseguono minuziosamente le fasi del rito imposto, deificando la sua immagine in un’avanzata solenne.
Attraverso un groviglio di corpi e un intrecciarsi di sguardi orgiastico si delineano quelli che sono i rapporti tra i personaggi. Quattro protagonisti che attraverso il loro punto di vista ci fanno vivere quattro storie diverse: una moglie succube di un uomo che nasconde la sua crudeltà con abbracci violenti, una schiava accecata dalle attenzioni del proprio padrone, un figlio testimone delle violenze subite dalla propria madre, incapace di ribellarsi al proprio padre tiranno.
In loro si vede tutto il dolore che provano. Le loro bocche vorrebbero parlare, ma rimangono serrate per la paura. I loro corpi invece gridano, piegati dal dolore dell’impotenza.
Ma lo spettatore coglie in essi una lenta e progressiva evoluzione psicologica che li porterà a stravolgere la loro vita. Il farfugliare di un “muezzin-siciliano” narrante simboleggia la confusione dei pensieri che angosciano le loro menti. Un vortice di pulsioni che porteranno la moglie a “vestirsi di sangue” e porre fine al suo supplizio.
(di Francesco Adamo)
coreografie: Salvatore Romania e Laura Odierna| danzatori: Salvatore Romania, Giulia Gilera, Konstyantyn Hryhor’yev, Valentina Zappa, Egisto(marionetta)| progetto musicale: Salvatore Romania | composizione musicale: Carlo Cattano (sax e flauti) | voce e percussione: Raffaele Schiavo | produzione: Associazione Culturale Megakles Ballet | compagnia sostenuta da: MiC e Regione Siciliana Assessorato del Turismo, dello Sport e dello Spettacolo
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ANARCHIVIO – seconda giornata
Il repertorio, oltre ad essere il tema sul quale si è basato l’intero festival, è stato argomento cardine del convegno ANARCHIVIO che ha visto confrontarsi ben otto ospiti di grande spessore sia nell’ambito artistico e intellettuale che in quello organizzativo.
Durante la seconda parte del convegno moderata ancora da Stefano Tomassini e Valentina Marini co/direttrice di Orbita|Spellbound Centro di Produzione Nazionale della Danza, non solo sono state riprese diverse tematiche precedentemente discusse e analizzate, come la sovrapproduzione coreografica di un artista per esigenze economiche e sociali, ma molti altri nuovi concetti sono stati al centro del dialogo.
Si è discusso più a lungo sulla definizione di repertorio contemporaneo: quale materiale coreografico può essere definito repertorio contemporaneo? Quali progetti passati possono essere ripresi e reinterpretati nel presente? Nel momento in cui si decide di presentare un lavoro di repertorio bisogna riflettere su cosa sia urgente oggi e, soprattutto, per chi. Bisogna, quindi, valorizzare l’interesse del pubblico, ma anche quello dell’artista che può scegliere di concedere proprie opere e permettere ad altri di reinterpretarle e re-indossarle lasciando spazio a nuove soggettività (modificandone la drammaturgia?) ma mantenendo invariato il concept del progetto.
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È stato preso in considerazione con particolare attenzione il caso dell’arte in Italia. È emerso che il sistema sostiene spesso lo spettacolo dal vivo in maniera carente dal punto di vista economico, causando così la diffusione di lavori a progetto più instabili in quanto occasionali. La mancanza di fondi adeguati a una produzione di ricerca accresce spesso l’isteria di voler e dover produrre cose nuove. Assistiamo così alla prevaricazione della quantità sulla qualità, comportando la mancanza di valorizzazione e circuitazione delle creazioni. A questo punto, fondamentale e da non sottovalutare è il tempo “improduttivo” della produzione, ovvero le pause coreografiche dedicate alla ricerca, alla creatività e al riposo.
Possiamo dunque affermare che il passato non è assolutamente da intendere come qualcosa di immobile bensì come qualcosa che è in constante movimento, che ha creato e che continua a farlo tutt’ora. Il suo ritorno nel presente non permette solo di trasmettere il sapere, ma anche che esso produca futuro.
Durante le due giornate sono emersi numerosi temi di discussione. L’impegno dei presenti si coagulerà in un documento, una sorta di patto – dichiarazione di intenti, che verrà firmato. Un passo importante di collaborazione tra artiste/i e programmatrici e programmatori della danza contemporanea italiana.
(Di Alice D’Urso)
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Ma è davvero terminato il FIC Festival 2024?
Ebbene sì, domenica 12 maggio, è stata la giornata conclusiva del FIC Fest, che ha travolto gli spettatori in molteplici e differenti performance.
Nel primo pomeriggio, presso Scenario Pubblico, è stato possibile assistere agli sharing del secondo modulo, nonché quelli finali, del FICDanceWorkshop, progetto a cura di Ocram Dance Movement. Le restituzioni prevedevano una performance, tenuta dai trenta danzatori del workshop, riguardante il repertorio di Marco Goecke e Roberto Zappalà, entrambi studiati durante la settimana 6-12 maggio. Dopo l’esaustiva presentazione di Marco Laudani, abbiamo visto i due video riassuntivi del lavoro svolto in sala, realizzati da Eros Brancaleon.
La prima performance ha visto come protagonista il repertorio di Marco Goecke, studiato e lavorato dai danzatori tramite le lezioni di Rosario Guerra, danzatore della compagnia. La pièce studiata è stata Wir sagen uns Dunkles’ (Ci diciamo cose oscure l’un l’altro), che i trenta performer hanno portato in scena divisi in due gruppi.
Nonostante il lavoro sia stato ripetuto due volte, non è mai mancata concentrazione, precisione e attenzione dei danzatori; tutti, infatti, hanno eseguito l’estratto in maniera notevole. La partitura di movimento prevedeva un linguaggio davvero preciso, netto, veloce, gestuale, espressivo, musicale e ripetitivo, tipico delle creazioni di Goeke. Inoltre, è stato possibile notare come la musica, una sonata pacata, corposa, lenta e leggera, del compositore Franz Schubert, andava in totale contrasto con il movimento incalzante, rapido e minuzioso dei performer.
Altro elemento fondamentale di questa performance, è stata la componente erotica, la quale penetrata nel corpo dei ballerini ha permesso loro di vivere e trasmettere una profonda e intensa intimità. Un’intimità, basandosi sulla drammaturgia dello spettacolo, riservata, segreta, addirittura oscura, che ha enfatizzato e influenzato l’energica presenza scenica e l’espressione dei trenta partecipanti. L’emissione di respiri molto accentuati coinvolgeva notevolmente lo spettatore in una costante dinamica e circolarità dei corpi.
Una volta terminata la performance, Rosario Guerra ha ringraziato tutti i danzatori per il duro lavoro, affermando di essere felice e soddisfatto per come hanno affrontato ed eseguito il repertorio abbastanza complesso, concludendo il discorso con una citazione del coreografo Marco Goecke “ogni movimento ha la sua importanza“.
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Subito dopo, senza nemmeno una pausa o il tempo di asciugarsi, le danzatrici e i danzatori del FICDanceWorkshop hanno dovuto cambiare velocemente registro, sostituendo i movimenti asciutti tipici di Marco Goecke con la fluidità del linguaggio di Roberto Zappalà.
Negli otto giorni passati con Maud De La Purification, danzatrice, assistente di Roberto Zappalà e docente del linguaggio MoDem, i ragazzi e le ragazze hanno affrontato il codice della Compagnia Zappalà Danza, caratterizzato da flussi di movimenti, controlli, sospensioni, esegesi articolari e muscolari, definiti da terminologie specifiche ispirate, com’è noto, all’attività del vulcano Etna.
Il repertorio proposto da Maud è stato quello de La Nona (dal caos,il corpo), premiato dalla Commissione del premio DANZA&DANZA 2015 come Produzione Italiana dell‘Anno.
I partecipanti hanno studiato l’inizio dello spettacolo, caratterizzato dall’assenza di musica e dall’uso del respiro all’unisono, e la chiusura, danzata sulle note dell’ultima sinfonia di Beethoven trascritta per due pianoforti da Franz Liszt.
Per realizzare lo sharing, Maud e i ragazzi hanno deciso di procedere adottando una composizione libera creata con il materiale assegnato, avendo così l’autonomia di formare dei gruppi in un ambiente libero.
I danzatori non hanno quindi eseguito semplicemente ciò che hanno imparato nei giorni passati, ma hanno creato una combinazione di soli, improvvisati e non, e pezzi corali.
In uno scambio continuo tra il fronte e le ultime file del gruppo, i giovani danzatori hanno incrementato gradualmente la velocità dei passi della coreografia, annunciando il cambiamento ad ogni ripetizione.
Si sono poi gettati in una corsa convulsa, un vortice di libertà, onestà, autenticità e presenza, un buon auspicio per il loro futuro nel mondo della danza.
(di Elena Costanzo e Francesco Adamo)
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BOX VISIONI – allenamenti dello sguardo critico
4 Seasons (jubileum version) | Samir Calixto & Ensemble d’Archi del Teatro Massimo Bellini
4 SEASON (Jubileum version) del coreografo Samir Calixto chiude, in quanto ultimo spettacolo di danza, il FIC Fest, seguito dal concerto dei Munedaiko.
La creazione è nata nel 2013, e subito dopo, è andata in tournée in numerose tappe internazionali. 4 SEASON riflette sulla relazione tra l’andamento naturale delle cose nella vita di ogni uomo, e di conseguenza dell’umanità intera, e il ciclo della natura. Secondo alcune culture antiche, infatti, le stagioni sono la metafora delle trasformazioni inevitabili di ogni forma di vita. Tutto finisce, dando luogo però, a qualcosa di nuovo, il ciclo successivo. Accompagnati dalla musica de Le Quattro Stagioni di Vivaldi (suonata dal vivo dall’Ensemble d’archi del teatro Bellini), hanno danzato Samir Calixto e Camilla Montesi; i quali, con movimenti di qualità contrastanti e illuminati da luci soffuse, hanno dato vita ad una dimensione astratta, sul proscenio del Teatro Massimo Bellini.
(di Alessia Macchiarella)
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RACCONTI LATERALI – appunti visivi
La creazione del coreografo è stata preceduta dal concerto dell’orchestra fiati del teatro, con i seguenti brani Serenata per fiati (R.Strauss), Oblivion – Libertango – Adios Nonino (A.Piazzolla). Di fondamentale importanza, a parer mio, i costumi: una tuta color carne semitrasparente che aderiva, ma non troppo, al corpo, quasi come una seconda pelle. Questa visione mi ha portata a paragonare i danzatori a dei serpenti, che in fase di muta, lottano contro il loro stesso cambiamento. Ad evidenziare questa sensazione, è stato l’alternarsi di movimenti plastici (prevalentemente della parte superiore del corpo), scattanti e lanciati.
Samir e Camilla lottano urgentemente, con un’energia combattente ma da cui a volte traspare fatica, contro qualcuno o qualcosa, forse il tempo e le inevitabili trasformazioni che ci costringe, forzatamente, ad affrontare. Diversi i momenti di buio, accompagnati dalla sola musica dell’orchestra, in cui i danzatori restano fermi, per poi, successivamente, impadronirsi di tutto lo spazio scenico con giri dinamici, salti, movimenti rapidi, ma anche lenti e sospesi. Sembrano delle figure quasi non umane che producono versi amorfi e agiscono con movimenti sempre più incalzanti, lanciandosi sguardi di incitazione. Trasportano il pubblico in una dimensione alienante e senza tempo.
(di Alessia Macchiarella)
coreografia e concept: Samir Calixto | danzatori: Samir Calixto, Camilla Montesi | musica: “Le Quattro Stagioni” di Antonio Vivaldi, eseguita dal vivo dall’Ensemble d’Archi del Teatro Massimo Bellini | violino solo: Dino De Palma | costumi: Jookje Zweedijk | produzione/ ripresa 2024: Scenario Pubblico Centro di Rilevante Interesse Nazionale (IT) e Matter Affects (NL) in collaborazione con Teatro Massimo Bellini | prodotto originariamente nel 2013 da Korzo Productions (NL)
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BOX VISIONI – allenamenti dello sguardo critico
L’arte del Taiko | Munedaiko
Tonight, at the historic site of Cortile Platamone in Catania, participants of the FIC festival were treated to a remarkable performance by the artistic group Munedaiko, entitled “L’arte del Taiko.” Directed and performed by three Japanese brothers, born and raised in Italy, this performance served as a testament to their dedication to preserving their cultural heritage.
Translated into English as “drums,” “Taiko” played the starring role that evening, aside from the performers themselves. The performance took place within an ancient courtyard and porch. Illuminated by warm light, the stage was bathed in a mystical, purple glow, enhancing the ambiance with an air of enchantment.
The show started with resounding vigor. The performers, in black kimono-like attire, fervently beat the drums, producing powerful, rhythmic sounds that reverberated throughout the space. Their movements were precise, synchronized, and controlled, at times wild and aggressive energy. They maintained engaging eye contact with the audience, infusing each beat with a sense of choreographed intensity akin to fighting. Their rhythmic patterns, ever-changing yet harmonious, accompanied also by the flute created an atmosphere reminiscent of a Japanese samurai battle.
For a full hour, the spectacle never lost its energy, building to a grand finale that left the audience amazed and speechless, as the drums grew to a rapid crescendo.
The performers had a great energy, their bodies could show the effort they put into their performance.
This concert was undeniably a once-in-a-lifetime experience, a captivating journey into Japanese culture that will linger in the memories of the audience.
(di Krystian Zambrowski, con la revisione per la lingua inglese di Elettra Giunta)