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Domenica pomeriggio, prima della seconda replica di Un Poyo Rojo a Scenario Pubblico, abbiamo incontrato Luciano Rosso, Alfonso Barón, interpreti dello spettacolo, e il regista Hermes Gaido. La Compañia Poyo Rojo fondata nel 2008 è composta da artisti coesi come una piccola famiglia, benché eterogenei nella formazione artistica basata tra danza, teatro, musica e sport.

Il loro spettacolo è stato portato in scena, con più di 1400 repliche, in teatri di tutto il mondo. Dialogando con loro abbiamo scoperto qualcosa di più sulla storia della loro iconica creazione. Prima di lasciare loro la parola, una piccola premessa:

Luciano Rosso ha interpretato inizialmente lo spettacolo insieme a Nicholas Poggi, suo partner anche fuori dalla scena.
– Da loro deriva il titolo dello spettacolo – nonché il nome della compagnia:
Nicholas Poggi – Luciano Rosso – Un Poyo Rojo… è un gioco di parole.
– Insieme a Hermes hanno creato lo spettacolo in poco più di un anno a Buenos Aires.
– Oggi in scena insieme a Luciano c’è Alfonso Barón, entrato all’interno della performance dopo aver visto la prima versione della stessa.

Come avete sviluppato il processo creativo?
Luciano Rosso: all’inizio volevamo fare uno spettacolo di danza contemporanea, con un linguaggio astratto ma poi abbiamo virato verso qualcosa di più teatrale perché eravamo interessati a raccontare una storia più narrativa o, meglio, una relazione. All’inizio del lavoro, infatti, c’eravamo io e il mio partner e Hermes era il regista.

Hermes Gaido: Nicholas non si sentiva a suo agio con l’umorismo. È stato un problema perché voleva lavorare su qualcosa di più astratto. Così Alfonso ha imparato la parte di Nicholas.

Alfonso Barón: Nel pezzo originale ho visto una relazione reale sul palco. Ma io e Luciano non siamo una coppia. Con la regia di Hermes, abbiamo iniziato a cambiare il rapporto tra i due personaggi. C’era più resistenza, più conflitto, quindi più teatro. Abbiamo mantenuto la struttura originale, ma io ho un background diverso, un corpo diverso. Io e Luciano abbiamo trovato il nostro modo di raccontare quella storia. All’inizio ho impiegato molto tempo per capire lo spettacolo e poi per lavorarci, è stato davvero difficile. È stato semplice invece imparare le parti tecniche, ma non è questo il punto di Un Poyo Rojo. L’aspetto principale è il lavoro sull’interpretazione e la relazione tra i personaggi.

Riguardo la ricezione del pubblico, avete notato differenze nel corso degli anni e nei diversi luoghi?
Luciano Rosso: direi che dipende più dai luoghi in cui ci esibiamo che dalla cultura del posto. In America Latina il pubblico è solitamente molto espressivo e partecipe, mentre in alcune zone d’Europa, come la Germania o il Belgio, le persone sono più tranquille, ma alla fine ti rendi conto che gli spettatori hanno apprezzato molto lo spettacolo e che lo hanno espresso in un altro modo, quindi sì, è sempre diverso.

Alfonso Barón: in generale c’è molta accettazione ed è molto bello anche perché è uno spettacolo che può essere recepito in tanti termini. Per esempio i bambini piccoli ci vedono come un cartone animato…Gli altri spettatori colgono vari aspetti: la parte tecnica, quella “poetica”, quella erotica… si passa attraverso un sacco di colori e texture per raccontare una storia semplice.

E in merito alla critica?
Alfonso Barón: Abbiamo iniziato molti anni fa quando in Argentina non si accettava ancora il matrimonio tra uomini per esempio. Alcune critiche dicevano che questo spettacolo è omofobo o è contro la comunità LGBTQ+, perché ritenevano che avessimo un’immagine di retroguardia o che ci prendevamo gioco di loro. Comunque abbiamo avuto pochi commenti di questo tipo, ma non ne capisco ancora il motivo. Non attacchiamo nessuno e non veicoliamo un’informazione specifica per dire ai gay che abbiamo il diritto di baciarci o di non farlo affatto. E anche per i bambini, cosa c’è di nuovo? Siamo come cartoni animati…potremmo somigliare a Tom e Jerry, Bugs Bunny e Topolino! È una storia d’amore, la storia del primo bacio tra due uomini.

C’è stata qualche reazione particolare che ricordi di uno degli spettacoli che avete fatto negli anni?
Alfonso Barón: Ho l’immagine in testa di una madre o un padre, non ricordo, che cercava di mettere le mani sugli occhi del figlio per non far vedere…e il bambino si dimenava come a dire: fammi vedere!

Come vi posizionate rispetto ai messaggi che arrivano al pubblico?
Alfonso Barón: noi trattiamo la storia in modo fresco, cosicché sia naturale e facile da vedere. Tecnicamente ci sono molte cose che possono essere interessanti, ma noi raccontiamo la storia senza pretenziosità rispetto a temi dell’umanità, è come un gioco ma allo stesso tempo è politico e diciamo cose, diciamo un sacco di cose ma in una specie di modo cool, ecco perché è come se fosse facile da vedere.

A proposito di questo secondo voi che ruolo dovrebbe avere la danza nella società di oggi?
Luciano Rosso: Personalmente penso che la danza faccia parte del teatro, si può usare o non usare… come la musica o come tutte le espressioni. Personalmente sono un po’ confuso sul ruolo della danza…

Hermes Gaido: Stiamo vivendo in un momento in cui tutte le accademie di musica, teatro, danza stanno andando in frantumi, perché a volte c’è gente che balla con la street dance o che fa musica con il cellulare. Tutto sta cambiando. Ricordo che mia nonna mi ha raccontato quando ero in Argentina che era molto comune che la gente finisse di mangiare e portasse via il tavolo per ballare. Abbiamo perso questa dimensione…nessuno lo fa più, o cerca di riportare questa sensazione.

E dato che il vostro lavoro mostra la danza e il teatro insieme mentre forse la nostra cultura li considera come generi indipendenti, pensate che la danza e il teatro possano vivere l’uno senza l’altro o hanno bisogno di coesistere?
Alfonso Barón: dipende dalla tua decisione personale. Puoi decidere di usare un modo strettamente teatrale, togliere il movimento, sentirti bene in un testo o qualcosa di super classico senza espressione fisica. Noi tre veniamo dal mondo del teatro e non dalla danza. All’inizio con il teatro stavamo imparando a rompere le regole.

Perché in teatro la regola è che non ci sono regole.

Penso che nella danza si viene educati in un modo più rigido, ecco perché i ballerini hanno paura di allontanarsi da quelle regole. Noi rompiamo le regole e usiamo la danza per andare in un “modo nuovo”. Credo che noi siamo coraggiosi nel senso che ci permettiamo di rompere le regole e di non pensare a noi stessi come danzatori, clown, acrobati, quindi ci piace dire che ci chiamiamo “interprete fisico”. Il corpo è il nostro strumento e possiamo fare quello che vogliamo.

Avete dei modelli di riferimento nel vostro lavoro? Qualcuno che vi ispira?
Hermes Gaido: per me sicuramente i film di Chaplin e tutto il genere di cinema classico muto, come il vecchio teatro basato sulla pantomima.

Luciano Rosso: tutti i cartoni animati che guardavo da bambino, tutti i film di Buster Keaton o della Pantera Rosa, ma anche i miei amici, la mia famiglia. Posso ispirarmi a tutto ciò che mi circonda. Non credo di avere un modello di riferimento…Beyoncé, lei potrebbe essere.

Alfonso Barón: per me i supereroi sono super potenti, pensavo sempre a cosa avrei fatto se avessi avuto un superpotere. Mi sarebbe piaciuto avere un superpotere come quello di volare o di arrampicarmi.

a cura di Luca Occhipinti e Sofia Bordieri

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