RACCONTI LATERALI – appunti visivi
FIC Workshop | sharing repertorio Akram Khan
Martedì 7 maggio, si è tenuto presso Scenario Pubblico, lo sharing del primo modulo del FICDanceWorkshop, un progetto curato da Ocram Dance Movement che prevede lo studio del repertorio di Akram Khan, Marco Goecke e Roberto Zappalà.
A dare il benvenuto e a rendere partecipe il pubblico è stato Marco Laudani che, insieme a Elettra Giunta, ha presentato il programma, seguito da un video riassuntivo della settimana, realizzato da Eros Brancaleon.
Il repertorio protagonista di questo primo sharing è stato quello della compagnia di Akram Khan. Grazie alle lezioni tenute da Joy Alpuerto Ritter, rehearsal director ed ex ballerina della compagnia, i partecipanti hanno avuto la possibilità di esibirsi, mostrando un estratto di una delle coreografie più celebri del repertorio di Khan, Until The Lions.
I trenta danzatori, divisi in due gruppi, hanno eseguito il pezzo in maniera molto energica e intensa. Proprio questo era infatti l’obiettivo del lavoro affrontato in sala, far fuoriuscire la propria presenza animalesca, trasferendola nei movimenti proposti dalla coreografa.
La musica, ideata dal compositore italiano Vincenzo Lamagna, è molto complessa, ritmicamente forte, definita e incalzante e di fondamentale importanza, poiché dona al pezzo e, a chi lo ha ballato, grinta ed energia. Il rapporto musica-danza è stato quindi molto evidente, ciò ha enfatizzato ancor di più la qualità di movimento di tutti i performer. Molteplici le ripetizioni gestuali e quelle inerenti alla parte superiore del corpo, ispirate alla danza indiana Kathak. I movimenti combinati al gioco di sguardi e alla connessione tra i danzatori, hanno trasmesso al pubblico una forte energia primitiva e terrena.
Al termine dell’esibizione, si è svolta una breve intervista rivolta a Joy Alpuerto Ritter, la coreografa di questi primi giorni. Svariate domande hanno riguardato il lavoro della compagnia di Akram Khan, e il suo lavoro individuale come danzatrice. Le sue risposte hanno permesso di contestualizzare e capire il training della compagnia e la drammaturgia di Until The Lions, ispirato a un antico racconto indiano basato principalmente su tematiche sociali e religiose. L’estetica generale, invece, del lavoro di Khan prevede una fusione della danza contemporanea con la danza indiana, il Kathak, che ogni danzatore della compagnia deve praticare per una maggiore consapevolezza del movimento.
Infine, Joy ha concluso l’intervista affermando di essersi ambientata bene all’interno del FICDanceWorshop e nella città di Catania, ma soprattutto di essere rimasta molto soddisfatta del duro lavoro e del risultato dei 30 danzatori.
(di Elena Costanzo)
BOX VISIONI – allenamenti dello sguardo critico
Coreofonie – #LeSacre | Compagnia EgriBiancoDanza
La quarta serata del FIC Festival catapulta il pubblico all’interno dei suggestivi spazi della Fondazione Brodbeck per assistere ad un’interessante produzione della Compagnia EgriBiancoDanza firmata da Raphael Bianco. Coreofonie – #Le Sacre è un viaggio interattivo nel quale il pubblico svolge un ruolo centrale nella determinazione degli sviluppi drammaturgici. Ciò avviene grazie a un computer che, posizionato all’interno dell’hangar dove ha inizio la performance, genera un algoritmo – tale da utilizzare i dati tratti dai volti degli spettatori – capace di creare una struttura musicale che cambia per ogni messa in scena. I danzatori, Vincenzo Criniti, Vincenzo Galano, Francesco Morriello e Chiara D’Angelo, collaborano con una sintetizzazione elettronica della musica de Le Sacre du Printemps realizzata dai compositori METS del Conservatorio di Cuneo. La scenografia e l’illuminazione sono altrettanto impressionanti, creando atmosfere suggestive che si adattano perfettamente alle diverse fasi dello spettacolo, dalle sequenze più delicate alle esplosioni di energia pura. La pièce viene portata in scena inizialmente all’interno dell’hangar, dove solo due dei quattro danzatori investono la scena occupata da due grandi installazioni, per poi spostarsi successivamente nel cortile esterno che, abitato centralmente da una grande roccia, vede in scena l’intero cast. Tra sguardi, corse, camminate, movimenti decisi e veloci, lo spettacolo rivisita Le Sacre du Printemps (2012) del repertorio della compagnia, ponendo l’accento sull’importanza della complicità e affidandone la conclusione al pubblico.
(di Marta Scalia)
RACCONTI LATERALI – appunti visivi
Inizialmente, la scena si svolge al chiuso, all’interno di un ambiente molto ampio, ed è occupata da due danzatori che, scrutando il pubblico e attraversandolo con decisione, catturano la mia attenzione. Appare ai miei occhi come se Vincenzo Criniti stesse studiando lo spettatore attraverso l’uso dello sguardo e attraverso l’invasione della bolla personale e intima di ciascuno, dovuta ai numerosi e ravvicinati incontri tra il danzatore e l’individuo. Al tempo stesso Vincenzo Galano, sempre collocato nei pressi di un muro, si muove nello spazio facendo intuire allo spettatore il proprio desiderio di fuga. Dopo il breve prologo, all’esterno, avviene la realizzazione della rivisitazione di Le Sacre du Printemps che vede in scena l’intero cast, inconsapevole di quello che sarà l’ordine dello spettacolo – concepito in modo modulare – e, dunque, anche il relativo finale: l’Eletta sarà sacrificata o liberata?
Ciò dipende dal pubblico e da come l’algoritmo decide di interpretarlo; la scelta di coinvolgere in questo modo gli spettatori mi ha affascinata molto, perché ha determinato come ulteriore conseguenza un grande ascolto e una immensa complicità tra i danzatori che, attraverso l’uso dello sguardo, devono provvedere all’interpretazione di qualcosa che in realtà non hanno previsto prima. L’Eletta, dopo numerose scene dove tenta di sfuggire ai carnefici, viene sacrificata.
Uno degli aspetti più sorprendenti dello spettacolo è per me la sua capacità di reinventare in modo fresco e contemporaneo un classico come Le Sacre du Printemps. Bianco, infatti, riesce a reinterpretare la musica e la coreografia in modo originale, aggiungendo nuove prospettive e sfumature al capolavoro di Igor Stravinsky. La musica selvaggia e potente si fonde perfettamente con i movimenti dei danzatori, creando un’esperienza sensoriale coinvolgente.
In conclusione, Coreofonie – #Le Sacre di Raphael Bianco è uno spettacolo straordinario che unisce abilmente repertorio storico e innovazione, portando il pubblico in un viaggio emozionante attraverso la musica, il movimento e la bellezza di una danza a tratti angosciante.
(di Marta Scalia)
coreografia: Raphael Bianco | assistente alle coreografie e coreologa: Elena Rolla | sound concept: Gianluca Verlingieri, Simone Conforti | realizzazione tecnica e artistica musicale: Cristina Mercuri, Simone Giordano, Simone Conforti | produzione: Fondazione Egri per la Danza | con il sostegno di: MIC – Ministero della Cultura, Regione Piemonte, Fondazione CRT, TAP – Torino Arti Performative | in collaborazione con: METS- dipartimento musica elettronica Conservatorio Ghedini di Cuneo, Festival di Mirabilia.
BOX VISIONI – allenamenti dello sguardo critico
Il Ciclope innamorato | Giovanni Calcagno, Puccio Castrogiovanni, CZD2
La quarta serata del FIC Festival 2024, si è conclusa con la visione della performance Il Ciclope Innamorato, una creazione di Giovanni Calcagno con la partecipazione di Puccio Castrogiovanni e di due danzatori della CZD2, Marco Di Dato e Vanessa Lisi.
Lo spettacolo si è svolto nel cortile esterno della Fondazione Brodbeck dove, grazie alla presenza di una maestosa roccia centrale, è venuta a crearsi un’ambientazione peculiare e molto suggestiva. La performance è iniziata con un sottofondo musicale pacato e misterioso che accompagnava Castrogiovanni, nella sua narrazione cantata e recitata riguardante la mitologia greca.
L’imponente presenza di Calcagno ha, poi, conquistato la scena. Attraverso l’utilizzo costante della sua voce, egli è riuscito a raccontare l’amore mai ricambiato del Ciclope Polifemo nei confronti di Galatea, in maniera ironica, autocritica, disperata, gloriosa, felice e descrittiva. I due danzatori Vanessa Lisi e Marco Di Dato, rispettivamente Galatea e il Fauno Aci, hanno accompagnato il racconto attraverso movimenti narrativi ed evocativi il loro rapporto giocoso, timoroso, furtivo e di scoperta amorosa.
Gli strumenti (un flauto di legno, un marranzano e due tamburi) suonati dal vivo dal virtuoso Castrogiovanni, sono stati elementi cruciali della performance in quanto hanno enfatizzato sensazioni di disperazione, paura, rassegnazione ma anche di felicità e amore dei personaggi.
Tramite la forte intenzione del protagonista, il gioco di luci soffuse e la musica dal vivo, lo spettatore ha potuto osservare chiaramente come un cosiddetto mostro, ossia il Ciclope Polifemo, attraverso l’amore possa trasformarsi in un poeta dalle mille sfaccettature.
(di Elena Costanzo)
RACCONTI LATERALI – appunti visivi
Ho apprezzato molto l’utilizzo della voce in questa performance; il registro vocale medio-alto dei protagonisti ha permesso a tutti gli spettatori di capire chiaramente l’intenzione del monologo. L’adozione dei vari accenti italiani – romano, siciliano, veneto e napoletano – è stata brillante e ha conferito toni ironici e comici alla narrazione che ho percepito come molto empatica. I due danzatori attraverso l’interpretazione dei loro ruoli hanno espresso a pieno il loro rapporto d’amore. La grande festa creatasi alla fine dello spettacolo ha dato modo di lasciare un ricordo piacevole allo spettatore, ricordando che l’amore è un sentimento potente, capace di renderci persone migliori.
(di Elena Costanzo)
di e con: Giovanni Calcagno | musiche eseguite dal vivo da: Puccio Castrogiovanni | danza a cura del danzatori della CZD2: Marco Di Dato e Vanessa Lisi | una coproduzione: Scenario Pubblico/Centro di Rilevante Interesse Nazionale per la Danza e la Casa dei Santi.
BOX VISIONI – allenamenti dello sguardo critico
Anaglifo (1996) | Balletto di Sicilia (oggi Compagnia Zappalà Danza)
La quinta serata del FIC Festival si è tenuta all’interno degli spazi di Scenario Pubblico dove, Samir Calixto e Camilla Montesi, hanno deliziato il pubblico con una prova aperta di 4 Seasons (jubileum version). La performance, ricca di forme e movimenti fluidi, precisi e dettagliati, verrà portata in scena domenica 12 maggio presso il Teatro Massimo Bellini. Immediatamente dopo, è stata organizzata la visione del filmato digitalizzato di Anaglifo, produzione risalente al 1996 di un Roberto Zappalà ancora agli albori. Il coreografo, prima della visione, ha spiegato la scelta del titolo: «Un anàglifo è un’immagine stereoscopica che, se osservata mediante appositi occhiali, fornisce una illusione di tridimensionalità. In architettura, rappresenta la capacità di far emergere in rilievo ciò che prima non c’era». Era proprio questo l’intento di Zappalà il quale, anche grazie all’ausilio della musica e del canto dal vivo di Nello Toscano, Rosalba Bentivoglio e Paolo Fresu, aveva lo scopo di portare in scena un lavoro di ricerca. Ispirandosi all’omonimo romanzo di Tahar Ben Jelloun, è in scena una notte fatale e buia che richiama il non-vedere, ma anche una notte di luce, scoperta e chiarezza che porta alla conoscenza di un mondo mutevole e mai uguale a sé stesso. Anaglifo vedeva in scena sei danzatori, Rosy Addario, Kia Gustafson, Linda Magnifico, Manuela Maugeri, Alessandro Di Carlo ed Ernesto Forni, che attraverso movimenti molto tecnici, precisi e d’impatto hanno catturato lo spettatore. L’ambientazione mostrata nel filmato è l’ampio palcoscenico del Teatro Vittorio Emanuele di Messina, il quale è stato utilizzato da Zappalà nella sua totalità installando scenografie particolari, tecnologiche e audaci. Il linguaggio da lui adottato nel 1996 si discosta molto da quello odierno, ma rimane comunque un’impronta visibile di quello che oggi è uno dei coreografi più affermati nel panorama italiano ed europeo.
(di Marta Scalia)
RACCONTI LATERALI – appunti visivi
Credo sia stato interessante e utile cimentarsi nella visione di Anaglifo poiché, trattandosi di una coreografia di repertorio datata 1996, presenta una visione della danza di Zappalà diversa da quella odierna. Si trattava, infatti, di un linguaggio incentrato molto sugli aspetti tecnici della danza dove, però, l’alternarsi di movimenti prima lenti poi veloci creava, insieme ad una musica pacata e tranquilla, un’atmosfera ipnotizzante. La scelta di inserire una cantante e un musicista dal vivo entrambi visibili in scena, ha reso a parer mio la performance molto incisiva. Credo, tuttavia, che assistere a un tale spettacolo tramite video sia limitante in quanto le emozioni provate quando si assiste ad una performance dal vivo faticano ad attraversare uno schermo. Dunque, le sensazioni suscitate dalla musica, dalla danza e dall’incredibile voce sono state limitate dalla proiezione che, essendo stata registrata quasi trenta anni fa, non ha restituito quella potenza che sarà senz’altro arrivata al pubblico allora presente. Nonostante ciò, grazie al FIC Festival è stato possibile conoscere un vecchio pezzo di repertorio della Compagnia Zappalà Danza che riscosse tantissimo successo e svariati premi. È stato, così, possibile immergersi in una realtà diversa da quella odierna ma comunque molto affascinante.
(di Marta Scalia)
coreografia, scene, costumi e luci: Roberto Zappalà | musiche originali: Nello Toscano | tromba: Paolo Fresu | voce: Rosalba Bentivoglio | interpreti: Rosy Addario, Kia Gustafson, Linda Magnifico, Manuela Maugeri, Alessandro Di Carlo, Ernesto Forni | installazioni: Maurizio Di Bella | una produzione Balletto di Sicilia in collaborazione con E.A.R Teatro di Messina e DanzaEtnaDanza. Digitalizzazione da VHS a cura di Sofia Bordieri.