Skip to main content

Intervista a Piergiorgio Milano – l’autore che ha scoperto i tanti volti della montagna

Il lavoro di Piergiorgio Milano è dedicato all’interazione costante tra danza, circo e teatro. Le sue parole chiave sono: virtuosismo della partitura coreografica, teatralità, ricerca estetica. Lo abbiamo incontrato a Scenario Pubblico dove ha presentato il suo White Out, spettacolo che chiude la stagione Sp*rt! 23/24.

La genesi di White Out: in quale momento hai deciso di creare lo spettacolo?
Il progetto è composto di due lavori sulla montagna White Out e Au bout des doigts creati grazie all’invito del Festival Torinodanza e di Scene Nationale Malraux Chambéry Savoie che hanno chiamato diversi artisti italiani e francesi per lavorare su zone transfrontaliere: la Val di Susa e la Valle della Maurienne.
Il progetto chiedeva di rimettere in valore, attraverso un’azione artistica, dei luoghi transfrontalieri da rivalutare. A partire da questa domanda ogni artista poteva con libertà assoluta avanzare la propria proposta.
A me non andava di perdere la dimensione naturale, per questo ho creato due lavori. Partendo dalla domanda: cosa possono condividere la montagna e il teatro? Cosa non possono? Cosa possono insegnarsi, scambiare, puntualizzare? Il mio obiettivo era di creare un dialogo tra i due ambienti e di creare un avvicinamento di entrambi i mondi ad altri mondi. Tendenzialmente chi va abitualmente in montagna raramente va in teatro e viceversa. Volevo creare uno scambio di pubblico anche per lavorare su questa idea di frontiera, che a mio avviso era il nocciolo del progetto. Allora sono andato alla ricerca delle tematiche, degli sport…immaginavo chiaramente cosa volevo ottenere ma senza sapere quali strumenti usare. Così sono andato a cercare elementi che potessero in qualche modo rispondere a questa esigenza legandoli a ciò che so fare, in linea con il mio linguaggio scenico. All’inizio volevo fare uno spettacolo sullo snowboard che pratico da quando sono bambino. Ma quest’idea è risultata essere più difficile da realizzare, ci ho pensato, ci ho lavorato per un mese, esiste anche una bozza che però non è stata realizzata.

Continuando nella ricerca sono entrato in contatto l’arrampicata e l’alpinismo. Ho iniziato a documentarmi, ho letto tantissimo, ho guardato tantissimi film, sono entrato in contatto con persone che hanno fatto questi sport ad alti livelli. Mi si è mostrata davanti questa grande differenza che era perfetta per quello che volevo fare: arrampicata e alpinismo condividono lo stesso mondo ma in realtà sono due antipodi. L’arrampicata è nata come risposta all’alpinismo eroico storicamente legato alla conquista e all’idea di nazione. L’arrampicata nasce in antitesi: “non conquisteremo niente ma ci nutriamo della bellezza di questo gesto”. Quindi questi due mondi erano proprio vicini ma separati ed era quello che io cercavo trattando di montagna e teatro. Quindi ho dedicato un lavoro all’arrampicata Au bout des doigts e uno all’alpinismo che è White Out.

Qui i documentari realizzati dei due lavori, Au bout des doigts e White Out 👇

Come hai sviluppato il lavoro di ricerca?
La richiesta è arrivata nel 2017, ho iniziato a creare nel 2018 e i due lavori si sono realizzati nel 2021 con un’anteprima nel 2019. Entrambi i progetti sono stati molto aiutati dal periodo di lockdown che mi ha dato quei due mesi per concentrarmi molto avendo alle spalle un anno di creazione. La cosa bella di White Out è che ha avuto una vera pre-creazione. Nel 2019 la ricerca è andata in scena, aveva una forma non erano solo idee. Poi è stata messa a riposo ed è stata ripresa per arrivare allo spettacolo finale. White Out ha cambiato almeno cinque squadre di persone, l’unica persona che c’è dall’inizio è Federico che si occupa del suono. Così lo spettacolo si è nutrito di tutto ciò che tutti hanno apportato, anche di passaggio.

All’inizio del progetto ero spaventato di lavorare sul concept montagna. La connessione corpo-montagna è difficile da trovare. Ho iniziato a leggere tutto ciò che potevo e anche a guardare, poi sono entrato in contatto con persone come Enrico Camanni, appassionato alpinista e scrittore affermato, e Anna Torretta, campionessa mondiale di scalata sul ghiaccio e guida alpina a Courmayeur. Con loro ho scambiato molte conversazioni, si è creata una connessione di fiducia. Mi hanno dato consigli su cosa leggere, su cosa informarmi. A Torino c’è la Libreria della Montagna (composta da novanta scaffali da quattrocento libri ciascuno). Da dove cominciare? Avere la loro guida è stato fondamentale. Montagna eroica, montagna punk – non è tutto come ti aspettavi, scopri cosa che non potevi pensare esistessero.

Ci sono stati dei libri fondamentali per te? Che tipo di rapporto si è instaurato con la creazione?
Posso dire almeno due o tre libri. Ogni scena dello spettacolo (cioè, ogni tre minuti) è una parte di un libro. I testi in voice-off invece sono stati ispirati più da dei film. La letteratura di montagna è molto bella per far partire l’immaginazione ma più “criptica”, cioè, difficile da tradurre in qualcosa di dinamico, accessibile e coinvolgente da mettere su palcoscenico. L’alpinismo poi è uno sport aritmico, e il teatro è principalmente ritmo. Come dare ritmo a qualcosa che ritmo non ha? Questa domanda ha generato le risposte più interessanti perché la drammaturgia è nata da lì. E questo mi ha spinto a vedere molti film, volevo capire come il cinema avesse risolto la questione. Ho visto tutti i film di montagna dai più commerciali a quelli più indipendenti.

Per tornare ai libri, ogni personaggio dello spettacolo è identificato in un personaggio esistente o tratto da una storia. I riferimenti ovviamente non sono stati sviluppati in maniera diretta, ma la gente dell’ambiente, chi ha visto lo spettacolo nei festival di montagna ha riconosciuto i vari cenni.

Il primo personaggio (quello con la radio) è tratto da Confessioni di un serial climber di Mark Twight. Lì c’è la montagna punk. Non avrei mai immaginato che qualcuno avesse vissuto la montagna così. Poi c’è un personaggio che non dice niente, lotta fino alla fine, è il più forte e si ispira a Aria sottile di Natoli Boukreev. Un personaggio secondario che mi ha colpito molto perché super integralista, rifiutava qualsiasi tipo di aiuto esterno. Infine, il personaggio che faccio io – che nella prima versione lo faceva una ragazza – che ha un ruolo chiave. Quando il ruolo veniva interpretato dalla performer, esso era ispirato a Alison Hargreaves alpinista britannica che ha scalato una quota 8000 incinta di otto mesi. Dopo aver partorito è ripartita ed è morta. Una forza della natura.
Concludo con altri due libri di riferimento: La montagna a modo mio di Reinhold Messner e Touch in the void di Joe Simpson.

Quali sono le figure di riferimento che hanno accompagnato il tuo lavoro autoriale?
Mi sono staccato dalle mie figure di riferimento da un po’ di anni. Quello che mi ha sempre colpito e affascinato è il teatro fisico. Ho fatto circo ma non mi è bastato, ho fatto danza ma non mi ha convinto fino in fondo. I miei riferimenti sono grandi nomi che conoscono tutti, DV8 in primis e Peeping Tom. Sono quelle le creazioni in cui si segue una narrazione fatta con il corpo. A livello di danza sono sempre stato affascinato dai virtuosismi, i primi lavori di Rosas tipo Rain e Drumming li ho visti più di quaranta volte. Ero affascinato dall’incessante sequenzialità di quel movimento. Dall’energia nello spazio o spazio come energia.

Che ruolo ha per te la danza nella società di oggi?
Io sono molto più legato al cinema che al teatro. Se consideri Non è un paese per vecchi, leggi il libro e pensi che è incredibile. Ma il film dei fratelli Cohen lo è altrettanto. Ed è un caso. Per me la grossa sfida è offrire un’alternativa. Secondo me lo schermo affascina, stupisce ed emoziona meglio di qualsiasi altra cosa. Quello che lo schermo non può fare però è lavorare sulla capacità di immaginazione. Bisogna creare quel compromesso per cui quando guardiamo qualcosa siamo disposti a metterci del nostro, a fare uno sforzo che diventa più magnifico perché collettivo.

Secondo me andare a teatro è come leggere un libro tutti insieme.

È fondamentale per il nostro tempo dire: siamo qui, non dobbiamo. Ed è bello poi metterci del proprio, fare un’attività. Non accontentarsi di stare lì passivamente. Bisogna uscire con delle domande, con delle intuizioni.

a cura di: Sofia Bordieri

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.