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Danzatrice e assistente alle coreografie della Compagnia Zappalà Danza, nel 2011 ha incontrato Roberto Zappalà e da allora vive a Catania. Quest’anno ha ricevuto il Premio Danza&Danza come migliore danzatrice del 2024 per la sua interpretazione solistica nello spettacolo Oratorio per Eva. Parliamo di Maud de la Purification storica componente dell’ensemble catanese che incrociamo ogni giorno tra gli spazi di Scenario Pubblico ma che, in occasione del FIC dance workshop, abbiamo voluto incontrare per farci raccontare la sua storia.

Foto Lorenzo Gatto

Qual è il tuo percorso di formazione nella danza?
Ho studiato al conservatorio di danza classica di Tolosa e a diciotto anni dopo aver ottenuto il diploma ho frequentato per qualche mese la scuola del Ballet National de Marseille dove poi stata presa come stagista. La compagnia era diretta da Marie-Claude Pietragalla e quell’anno tra le tappe del tour di Giselle c’era anche il Teatro Bellini di Catania. Ricordo molto bene quel momento. Il primo contratto ufficiale l’ho avuto a Tolosa nella compagnia Balanchine che era per me quella del cuore. Per la direttrice – che aveva lavorato con Balanchine – ero però troppo “modern” così non mi ha rinnovato il contratto dopo il primo anno. Mi sono trovata con una ferita enorme. Una signora dell’amministrazione, però, mi aveva parlato di Kylian consigliandomi di provare per la compagnia junior.  Così mi sono impuntata e ho creato un solo, sapendo che, ufficialmente, non avevo più l’età per rientrare nella compagnia giovane che sarebbe venuta a Toulouse in tour. Nel frattempo, avevo ottenuto un contratto – la mia ultima esperienza con la danza accademica – quindi la sera conclusa la giornata mi mettevo a lavorare per il solo che, incredibile, si chiamava Eve (cioè Eva). Quando sono andata a vedere NDT, ho consegnato il mio CD al direttore e poi mi hanno invitata all’audizione. Proprio quell’anno hanno richiesto un solo e ho finito il mio proprio davanti a Kylian. Purtroppo, non c’era posto nel gruppo, ma una ragazza ha abbandonato in corso e così mi hanno chiamata. Dopo un anno, ho deciso di andare a New York dove durante un tour avevo fatto amicizia con dei danzatori della Cedar Lake. Lì è stato un periodo molto libero, ho lavorato con una giovane coreografa, poi sono andata a Berlino per fare una residenza e sono rimasta per lavorare in un altro progetto con un coreografo che aveva ideato una propria tecnica, molto mista, partendo da un background di hip hop. Era un momento non felice della mia vita e proprio in quel periodo ho capito tantissime cose del mio corpo.

Quando e come è iniziata poi la tua collaborazione con Roberto Zappalà?
Era il 2011 e stavo lavorando a un progetto con un ex collega dell’NDT al Korzo theater. Quello con Zappalà era un vero e proprio stage-audizione e il mio amico me lo aveva consigliato…così ho incontrato Roberto. Avevo un ginocchio infortunato e durante l’audizione ho iniziato ad avere dolore. Quando è arrivata la pausa ho preso le mie cose per andare via ma Roberto mi ha vista e mi ha chiesto “Cosa fai?”. Ho spiegato che non potevo farmi male, avevo uno spettacolo da fare, ma lui mi ha chiesto di rimanere, mi ha detto che potevo fermarmi quando volevo e così sono rimasta. Poi mi hanno chiamata e, così, sono arrivata a Catania. Ho lavorato con persone bellissime e ho deciso di rimanere. Nonostante non volessi entrare in una compagnia, ho subito accettato il contratto, era evidente che c’era qualcosa che mi aspettava qui.

Foto di Alfredo Anceschi

In quanto danzatrice e ripetiteur, qual è, secondo te, la cosa importante da trasmettere a chi farà il workshop?
Questa è la bellezza che mi nutre ogni giorno quando insegno Modem: avere le migliori condizioni per accedere al momento presente. Non c’è spazio per altro, hai la possibilità per un’ora e un quarto senza stop di rimanere nella tua concentrazione – ed è una cosa speciale, perché di solito ci si ferma. Per me questa è la cosa più interessante e nobile da cercare nella danza. Essere qui, che poi è il migliore degli allenamenti per il palco. È una concentrazione e una presenza che si chiama onestà. Chi sono in questo momento? La cosa meravigliosa poi è portare sul palco quello status cercato a lezione. In questi stati si accede a una tale onestà, apertura e non c’è più il tabù, il pudore. Il pudore che viene a sporcare il danzare. In quella condizione il pudore viene eliminato da sé, non perché si vuole eliminarlo. Essendo presente in quel momento, senti il flusso che davvero ti attraversa e rimbalza nel corpo e se c’è una certa intensità richiesta dal task si accede a qualcosa di vero quindi il viso sarà specchio della pancia e non ci sarà più una maschera dell’essere presentabile. Sono quello che c’è. Ed è la cosa più onesta che si possa cercare. Cos’è danzare? Perché lo faccio? Si creano poi delle situazioni con il gruppo che non puoi riprodurre da solo. È anche incredibile percepire l’influenza degli altri, di quello che succede attorno a me. Se qualcuno ha un giorno down lo sentiamo tutti. In quel caso è meglio osservare, prendere appunti…si impara lo stesso. Possiamo creare una magia d’armonia se ognuno è responsabile della sua presenza. Si arriva a cose incredibili, speciali. Non c’è una mosca che vola, è super bello.

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