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Pronti… Partenza… Via…

Per uno sportivo l’inizio di una competizione rappresenta un momento magico, frenetico, emozionante. Se dovessimo cercare di racchiudere in una sola parola, questa sarebbe «speciale».

Il “via” segna il momento in cui la morsa allo stomaco deve svanire, il momento in cui occorre isolarsi, il momento in cui bisogna diventare ciò che serve lì dentro, qualunque cosa questo significhi. Uno sportivo capisce che in quegli istanti ogni respiro conta, ogni pensiero determina un’azione. I problemi, in quel frangente come nella vita, possono presentarsi improvvisamente e serve essere pronti a reagire. Bisogna confrontarsi con i propri limiti e con le proprie paure, cercando di trasformare ogni emozione in forza.

Secondo Giuseppe Vercelli, uno psicologo dello sport, vincere significherebbe provare le migliori sensazioni possibili in quel preciso momento, cercare il meglio da sé stessi. Il campione, continua Vercelli nel suo Vincere con la mente (2016), è colui che sa assumersi la responsabilità del proprio mondo, dal successo al fallimento. È colui che sa prendere delle decisioni e ha il coraggio di farlo ascoltando le proprie sensazioni. San Francesco d’Assisi diceva: «Cominciate col fare il necessario, poi ciò che è possibile e all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile».
Questa massima si può applicare nella vita di tutti i giorni, come nello sport.

Possibile e impossibile a volte si fondono diventando un tutt’uno.

Viene subito alla mente il caso di Vinny Paz, un pugile statunitense di origini italiane. La sua carriera è stata segnata da un incidente automobilistico che quasi gli è costato la vita. Secondo i medici, infatti, non avrebbe più potuto camminare, figuriamoci combattere sul ring. L’atleta però non si è arreso e ha deciso di farsi installare un apparecchio che avrebbe mantenuto il suo collo immobilizzato per tre mesi, sperando nell’impossibile. Contro ogni aspettativa, tredici mesi dopo l’incidente, è tornato a combattere, laureandosi campione del mondo.

Nel 2016, la storia di Vinny Paz è stata portata sul grande schermo, con il film Bleed, Più forte del destino. La pellicola si conclude con un’emblematica intervista, in cui al protagonista viene chiesto quale sia stata la più grande bugia che gli sia mai stata detta. La sua risposta è stata «non è così semplice».

Oscar Wilde scriveva: «Siamo tutti immersi nel fango ma alcuni di noi guardano verso le stelle».

La storia di Paz ci insegna che «non è così semplice» rappresenta la menzogna che ci ripetiamo ogni giorno per non affrontare ciò che ci sembra più arduo, ed è questa che può farci desistere dal realizzare i nostri sogni e raggiungere i nostri obiettivi, per quanto essi siano stravaganti o impossibili.

Come disse lo scrittore francese Charles Péguy «È sperare la cosa più difficile. La cosa più facile è disperare, ed è la grande tentazione».

Ognuno di noi, nel quotidiano, tende a focalizzare gli aspetti negativi in ogni cosa ed è anche noto che si tenda a ricordare maggiormente eventi negativi che positivi, poiché più stressanti dal punto di vista psicologico. Dunque, in un mondo dove ci si concentra sugli aspetti nefasti…la resistenza potrebbe salvarci.

Non usiamo il termine resilienza che, come sostengono Maura Gancitano e Andrea Colamedici, è

«un termine mutuato inizialmente dall’ingegneria che ha attraversato la biologia, l’informatica, l’ecologia, la psicologia e che negli ultimi anni è finito con il descrivere la capacità di resistere agli urti, di tornare a sé stessi dopo aver vissuto un trauma o una deformazione. Come i metalli che subiscono urti e manipolazioni ma poi tornano uguali a come erano prima, così siamo invitati a fare noi. […] Essere resilienti significa, quindi, aspettare passivamente che le cose spiacevoli passino e che i tempi ridiventino floridi».

Le storie di cui stiamo parlando sono caratterizzate da ben altro che attesa e passività. Piuttosto dal contrario.

«Se proprio vogliamo usare un termine preso in prestito dall’ingegneria, riprendiamoci il concetto di resistenza, cioè quella capacità dei corpi di opporsi al passaggio di una corrente. Chi resiste non si limita ad aspettare che la tensione passi, non fa finta che non stia succedendo niente, ma si oppone attivamente. Un corpo resiliente è un corpo passivo, mentre un corpo resistente è un corpo vivo, che subisce ferite e trasformazioni dalla forza ostile e non fa finta che non stia succedendo niente. Prova dolore e fastidio, e ciononostante continua a resistere. Resistere significa fare esperienza, rischiare di farsi male e di sparire pur di opporsi alla distruzione generale».

Non possiamo che raccontare, a questo punto, la testimonianza personale di una studentessa dell’Università di Psicologia di Catania che giocando a pallavolo, durante un incontro, ha subito un grave urto al ginocchio compromettendo una rotula. La sua è una storia apparentemente semplice che però cela risvolti personali ben più complessi. Oltre al dolore fisico, infatti, l’infortunio è stato alla pari emotivo, specie dopo la diagnosi presentata della propria fisioterapista secondo cui la giovane non avrebbe più potuto giocare. La notizia spiazzante però non ha lacerato la sua voglia di resistere continuando a seguire il piano di riabilitazione che doveva per riprendersi, giorno dopo giorno, con rigorosità. Alla fine, è riuscita a tornare in campo.

Altro caso eclatante viene narrato nella Serie Tv I fantastici 5:

Laura, una ragazza di 16 anni, è vittima di un incidente che le costa la perdita di una gamba. Una situazione che travolgerebbe qualsiasi individuo e che però pesa in particolar modo in quella fase adolescenziale in cui si trova la protagonista. Quel momento in cui comincia a scoprire il proprio essere, le proprie attitudini, il periodo nel quale si comincia a costruire la propria identità.
Forte e lucidamente pronta a non lasciarsi abbattere, Laura non si lascia intimorire e decide di entrare in un centro, il Nova Lux, in cui sono presenti tanti altri ragazzi con diverse disabilità, tutti accomunati da una preziosissima ricchezza, la resistenza. All’interno di questo centro viene data la possibilità ai ragazzi di rialzarsi e di continuare a vivere la loro vita. Tutto questo grazie allo sport.
Laura, diciottenne, grazie al suo impegno, alla sua dedizione e alla sua forza di resistere alle avversità della vita diventa abilissima nella corsa. Insieme agli altri ragazzi del centro, decide di partecipare alle selezioni per gli europei. Un obiettivo importante. Qui però, Laura ha un crollo ripensando a ciò che le era accaduto, così come ad altri suoi compagni e di conseguenza non riuscirono a partecipare alla competizione. Rimaneva ancora una possibilità: partecipare in squadra a una gara di staffetta. I ragazzi, grazie al loro reciproco aiuto, al lavoro di squadra e alla loro voglia di realizzare il sogno, riuscirono non solo a superare le selezioni, ma anche a vincere gli europei.

Non è semplice, ma come disse Pietro Trabucchi: «Tutti abbiamo delle motivazioni. La differenza sta nella loro capacità di farle durare a lungo nonostante ostacoli, difficoltà e problemi». E aggiungiamo, quindi, nella capacità di resistere che può soltanto provenire da una profonda motivazione.

Usciti dallo spettacolo di Marco D’Agostin, First Love, queste storie hanno pervaso la nostra mente, ci hanno fatto emozionare e riflettere su quanto la vita dello sportivo possa essere dura e sostenibile solo se si ama ciò per cui si combatte. Siamo noi a costruire la nostra esistenza sulla base delle risorse di cui disponiamo e di cui possiamo disporre, dalle quali dobbiamo attingere per non soccombere agli ostacoli. «Ciò che non mi uccide, mi rende più forte» diceva Nietzsche e, tenendo a mente questa citazione, dobbiamo ricordarci che anche il cielo talvolta intimorisce e incute paura, ma emana anche bellezza e speranza.

Di:
Donato Gabriele Cassone
Giulia Concetta Celeste
Laura Raneri

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