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Intervista a Emio Greco, coreografo di ROCCO.

Abbiamo incontrato Emio Greco (1965), danzatore e coreografo italiano che dopo essersi formato a Cannes ha danzato e collaborato con numerosi artisti tra cui Jan Fabre e Saburo Teshigawara. Dal 1995 lavora con Pieter C. Scholten (1965), con il quale ha fondato ad Amsterdam la compagnia Emio Greco/PC riconosciuta come una delle più importanti del panorama europeo.

Rocco è stato portato per la prima volta in scena nel 2011. Come si è sviluppato il processo creativo e come lo spettacolo è cambiato oggi da allora?
La genesi risale al 2008 quando inizialmente io e Pieter pensavamo di creare uno spettacolo di teatro in collaborazione con un importante regista, oggi molto famoso per i musical, che voleva curare la messa in scena di Rocco. Il suo linguaggio però era molto realistico, così abbiamo deciso di sviluppare le nostre idee iniziali. La prima ufficiale fu a Vienna a ImpulsTanz nel 2011; da allora lo spettacolo si è nutrito del proprio vissuto acquisendo qualcosa di nuovo e perdendo qualcos’altro, com’è naturale. Abbiamo poi creato anche una versione femminile, Rocca.
Adesso il cast è misto e diciamo che questo aspetto fa anche parte della storia di Rocco dal punto di vista etico-sociale: la scelta dei performer, infatti, va oltre il gender e la rappresentazione dell’uomo e della donna. È più uno stato di amicizia, relazione, combattimento, distanza, sfida ad essere in scena. Ciò che importa è l’energia che emana quella specifica persona aldilà del proprio gender.

Il lavoro tra te, coreografo, e Pieter, regia, come si sviluppa?
Posso dire che siamo entrambi coreografi perché la regia è qualcosa che emerge dal corpo e da me. In altre parole, per regia intendo il fatto di leggere, cogliere ciò che il corpo che ho di fronte ha bisogno in relazione al circostante e alla situazione teatrale…bisogna capire cosa fornire affinché il corpo possa vivere in modo ottimale.
Riguardo Rocco avevamo chiaro sin dall’inizio l’idea spaziale del ring – tra l’altro quella di considerare la scena come un ring è una suggestione che ho da molto prima della creazione – e la suddivisione del tempo in round di tre minuti. Idee che avevamo sin dall’inizio a differenza di molti altri lavori in cui la forma scenica si specifica dopo.

Molti hanno parlato di Rocco come uno spettacolo rappresentativo del vostro lavoro. Che significato ha, allora, Rocco nella vostra carriera?
È piuttosto importante perché mi ha permesso di lavorare su una dualità; il rapporto a due che nella danza è molto importante (penso al passo a due) e che qui acquisisce nuove soluzioni formali e coreografiche.  Abbiamo studiato come creare altre strategie, una forma nuova che abbiamo sperimentato per la prima volta con Rocco che quindi è un tourning point nel nostro percorso.

Ci sono delle figure di riferimento nella storia della danza, della musica, del cinema e dell’arte che sono state importanti nel corso degli anni?
Da italiano sento che c’è una cultura classica che mi impregna. Sono cresciuto a Brindisi dove c’è una presenza artistico-architettonica greca e romana. Ci rapportiamo quindi con quel tipo di idea di “purezza” nelle dimensioni e nelle proporzioni.
Anche con il cinema c’è un rapporto importante. Ho un legame particolare perché quando vivevo nel mio paese non avevo molto accesso all’arte e alla cultura e quella cinematografica è una delle forme d’arte più accessibili. Un riferimento su tutti è David Lynch, con la sua magistrale capacità di trovare sempre un’altra narrazione, cioè un altro modo per dire qualcosa.
Riguardo la danza mi sono formato negli anni Ottanta, quindi con un pensiero neoclassico di base da cui mi sono poi allontanato. L’astrazione della tecnica è una delle cose che mi affascina di più, poiché da quella situazione – con le tecniche incorporate nel corpo – puoi disfare qualsiasi cosa e quindi ricreare qualsiasi cosa. Riferimenti principali sono Cunningham e Forsythe e le loro danze fanatiche che sono qualcosa che dal punto di vista energetico mi hanno sempre colpito. Ulteriore figura importante è Jan Fabre, altra faccia di uno stesso oggetto…
Siamo molto legati anche all’ambito musicale, e questo si vede nelle scelte sonore che facciamo che si nutrono di mondi ed epoche diverse. Non mi dispiace la musica di ricerca, più sofisticata, nel campo dell’elettronica.

Il vostro manifesto, scritto nel 1996, è ancora oggi perfettamente valido nella vostra est-etica?
Senza che venga considerato un tabù, il manifesto è ancora qualcosa di valido a cui ci riferiamo. Abbiamo elaborato il nostro linguaggio proprio sulla base di questi punti che ci hanno permesso anche di dialogare con altre situazioni e altri ambiti di ricerca come musica, teatro, filosofia e ricerca scientifica. È affascinante un pensiero della danza così poliedrico… ed è importante anche dal punto di vista dell’approccio sociale.

1. It is necessary for me to tell you that my body is curious about everything and I am my body
2. It is necessary for me to tell you that I am not alone
3. It is necessary for me to tell you that I can control my body and play with it at the same time
4. It is necessary for me to tell you that my body is escaping
5. It is necessary for me to tell you that I can multiply my body
6. It is necessary for me to tell you that you have to turn your head
7. It is necessary for me to tell you that I am leaving you and I am giving you my statue

Infatti, il punto tre dice «io posso controllare il mio corpo e allo stesso tempo giocarci». Un concetto che esplica un tipo di lavoro di ricerca e allo stesso tempo una posizione politica, nei confronti del pubblico. Questo si lega anche a un’ulteriore domanda: quale pensi sia il ruolo della danza nella società di oggi?
Sappiamo che la danza è stata una delle forme più importanti di espressione sia per il suo potenziale vibrante che per il suo essere sociale, aggregante. Questo è un elemento fondante, presente intrinsecamente, che rimane nonostante l’evoluzione della forma. Penso che le capacità di grido e parola siano eccezionali. La danza è poi la forma che evolve più velocemente di ogni altra e riesce a comunicare senza barriere: legata ai corpi è legata alla società e quindi al cambiamento, c’è una corrispondenza.

Secondo te, in generale, il pubblico vuole dialogare con la danza? O è più predisposto ad accogliere un intrattenimento?  
Soprattutto dopo il Covid noto che c’è una dipendenza a volere cose che si riconoscono e che siano riconoscibili…

La danza allora deve prendere considerazione di questo aspetto e sforzarsi di andare incontro al pubblico?
Si, ma senza svendere la sua natura e questa è la cosa più difficile…penso che debba avvicinarsi il più possibile ma senza diventare inutile. Intendo, cioè, di dare qualcosa soltanto in accordo con un gusto particolare. Che senso avrebbe a quel punto? Bisogna “indicare” sempre un pensiero attraverso la danza…il pensiero è ciò che ha fatto evolvere la società. Gli artisti prima di noi hanno indicato una strada, con il loro pensiero…sono stati pionieri con qualcosa di nuovo. Noi siamo qui grazie a loro, grazie a chi ha smosso resistenze e tabù ed è stato artista per noi.

di Sofia Bordieri

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