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«Ah, gridare è poco, ed è poco tacere: niente può esprimere una esistenza intera!»              

Rabbia, Pier Paolo Pasolini
Foto di Serena Nicoletti

Oscar Wilde

Definire la parola “vita” è estremamente complesso. Al suo interno sono racchiusi una serie di aggettivi che, espressi singolarmente, senza la memoria di un significato autoattribuito sono vani e privi di senso.
Unica, irripetibile, complicata e difficile sono termini spesso utilizzati per cercare di esprimere, in semplici parole, tutto il senso di una esistenza che altrimenti rimarrebbe volatile, come una conoscenza tacita polanyiana.

Credo, però, di poter affermare che nel momento in cui si cerchi di dare un significato alla vita si cada in un peccato di presunzione. La parola “vita” contiene, insite al suo interno, troppe definizioni scatenate dalla complessità del genere umano. All’interno di una vita è, forse, possibile condurre più vite. Ogni momento che ci segna nel profondo, ogni momento che ci fa pensare “da oggi cambio vita” scatena una serie di conseguenze infinite su di noi e su chi ci sta intorno che potrebbero segnare l’inizio di nuove concezioni di vivere nel presente e ridimensionare ciò che è successo nel passato.

«Si hanno due vite. La seconda inizia il giorno in cui ci si rende conto che non se ne ha che una».

Confucio

Ciò che si può cercare di fare per avere consapevolezza di ciò che significhi vivere è avere un atteggiamento di apertura nei confronti del sapere e della cultura. Giocare con ciò che non si sa, danzare con l’incertezza, guardare le stelle incuriositi da ciò che forse mai potremo scoprire è un modo per combattere la labilità dell’esistenza.

Informarsi rende liberi.
Non avere cultura, invece, ci rende schiavi. Bisognerebbe vivere mille vite per conoscere ogni aspetto di ciò che ci circonda e, comunque, credo che non basterebbero.

«Puoi leggere, leggere, leggere, che è la cosa più bella che si possa fare in gioventù e piano piano, ti sentirai arricchire dentro, sentirai formarsi dentro di te quell’esperienza speciale che è la cultura».

Pier Paolo Pasolini
Foto di Serena Nicoletti
Pier Paolo Pasolini, Lettere Luterane

Essere sé stessi, soprattutto nel mondo “spettacolare” in cui viviamo oggi è davvero complicato. Luigi Pirandello ed Erving Goffman parlavano di sfaccettature umane, di diverse facce che, a seconda delle situazioni, gli esseri umani lasciano intravedere, ognuna per un tempo limitato. Ci troviamo a vivere più vite dentro una vita, a volte per la paura di viverne soltanto una. George Brassens diceva: «La cosa più difficile nella vita? Essere sé stessi. E avere carattere a sufficienza per restarlo». 

Secondo la psicologia sociale ognuno di noi possiede più sé a seconda della cultura, del contesto d’origine e della vita che si è scelto di condurre, sempre che si abbia avuto il privilegio di scegliere. Potrebbe, ad esempio, esserci il “sé normativo” cioè: come la società vorrebbe che ci mostrassimo. C’è il “sé ideale” che ci vorrebbe spingere verso ciò che non siamo, nel bene o nel male. Potremmo addirittura arrivare a esprimerci come gruppo con il “sé interindividuale”.
A conti fatti, dentro ognuno di noi, c’è una moltitudine di noi. Perciò chi siamo davvero? Siamo ciò che siamo perché lo abbiamo deciso noi o perché lo ha deciso la società? La risposta non è semplice ma, in realtà, basterebbe dire che “siamo”. Non ci consolerà di certo, eppure, se si vuole aspirare a “vivere”, come suggerito da Wilde bisogna dire la verità, prima di tutto a noi stessi e poi a chiunque altro, su chi siamo, su cosa pensiamo e forse, solo in quel momento, arriveremo a vivere davvero.

«Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario».

Pier Paolo Pasolini

Potremmo fallire, certo, ma suppongo che, almeno un tentativo di vivere davvero come siamo, imperfetti, fragili, impauriti e angosciati dal fatto che un giorno non saremo più in questo mondo sia dovuto, prima di ogni cosa, a noi stessi.

Foto di Serena Nicoletti

«Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io. Vivi il mio dolore, i miei dubbi, le mie risate. Vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io».

Luigi Pirandello

 In avvio dello spettacolo Bastard Sunday di Enzo Cosimi sentiamo, fuoricampo, una voce maschile straziata, che scopriamo essere dell’uomo che probabilmente ha ucciso Pasolini per “difendersi” da quest’ultimo in una situazione alquanto particolare. L’uomo raccontava di quanto quel disgraziato episodio lo avesse marchiato e che ancora, dopo tanto tempo, sentiva il sangue scorrere nelle sue mani, o per meglio dire, nei suoi piedi che premevano nel pedale dell’acceleratore della macchina con cui ha schiacciato il corpo di Pasolini. Si avverte così un senso di colpa interiore, difficile da percepire esternamente a causa dell’atto atroce compiuto, quasi come uno sciagurato “errore di gioventù”.

Il senso di colpa è uno dei sentimenti umani più comuni, colpisce ogni individuo a prescindere dalla propria cultura, età o background. Questa sensazione nasce spesso dalla consapevolezza di aver infranto un codice morale personale o sociale, oppure dall’aver causato danni a qualcuno, anche involontariamente. Sebbene spesso percepito come un peso, il senso di colpa può rivestire un ruolo significativo nella nostra crescita personale e sociale. Questo sentimento può emergere da situazioni semplici, come l’aver dimenticato un compleanno, oppure da circostanze più gravi, come quando si tradisce la fiducia di qualcuno a noi caro. La consapevolezza delle proprie azioni e delle loro conseguenze è il fulcro del senso di colpa, che ci dovrebbe spingere a riflettere su ciò che abbiamo compiuto e su come potremmo agire diversamente in futuro.

Il senso di colpa funge da segnale, intrinseco in ognuno di noi, che ci indica quando abbiamo violato i nostri valori o gli standard morali della società. In questo senso, può essere visto come un meccanismo di regolazione comportamentale che ci aiuta a mantenere saldi i nostri principi. Quando riconosciamo di aver sbagliato, il senso di colpa ci motiva a fare ammenda e a cercare di rimediare ai nostri errori. Un senso di colpa eccessivo o immotivato, però, può essere paralizzante e può contribuire a problemi di salute mentale come ansia, depressione e bassa autostima. Ad esempio, alcune persone possono sentirsi colpevoli per situazioni fuori dal loro controllo, oppure portare il peso di colpe ereditate da altri. Questo tipo di colpa tossica può bloccare la crescita personale e intrappolare l’individuo in un ciclo di auto-recriminazione e sofferenza.

Damiano Lazzarano
Foto di Serena Nicoletti
Luigi Pirandello

Forse, la causa della morte di Pasolini è proprio questa, il non aver finto. L’essersi mostrato con una maschera che lasciava intravedere il suo volto reale, nella dualità della sua esistenza così complicata dai pensieri e sentimenti nefasti di quel periodo non troppo passato. In ciò che dovrebbe essere così semplice e in realtà, nei fatti, talmente difficile come il mostrarsi per ciò che si è, si trovavano d’accordo Pirandello e Pasolini, entrambi convinti che la sincerità fosse l’aspetto più complesso delle nostre esistenze. Infatti, Pirandello affermava: «nulla è più complicato della sincerità». Pasolini, probabilmente è morto per questo motivo, provava ad essere sincero in un mondo che viveva di ipocrisia, in un mondo che credeva di intendersi ma non si intendeva mai.
Per concludere, riprendendo Pasolini che citava Freud direi: «le nevrosi che causano le “regressioni” più terribili e incurabili sono dovute proprio a questo sentimento primo, di non essere accolti nel mondo con amore».
Quindi, quanto, a noi esseri viventi, deve costare l’essere amati e accettati per come siamo nel mondo? Vale la pena morire per questo?

A cura di Donato Gabriele Cassone e Laura Raneri.

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